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neutrinoIl Premio Nobel per la Fisica 2015 è stato assegnato al giapponese Takaaki Kajita e al canadese Arthur B. McDonald, per il loro contributo chiave agli esperimenti che hanno dimostrato l'oscillazione del neutrino.

Questa metamorfosi richiede che i neutrini abbiano massa: questa scoperta ha cambiato la nostra comprensione dei meccanismi più intimi della materia e può rivelarsi cruciale per la nostra visione dell'universo.

"La fisica delle particelle celebra un altro straordinario successo dopo quello del bosone di Higgs", commenta Fernando Ferroni, presidente dell'INFN.

"Un riconoscimento a chi ha misurato che il flusso di neutrini atmosferici presentava una anomalia e suggeriva quindi che essi si trasformassero durante il percorso tra specie diverse, e a chi sperimentalmente ha dimostrato che sommando su tutte le specie di neutrini solari il conto tornava! Due esperimenti fondamentali, SuperKamiokande in Giappone e Sudbury Neutrino Observatory (SNO) in Canada che, accompagnati da quelli realizzati ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, MACRO, Gallex/GNO, BOREXINO e OPERA, hanno permesso di chiarire tutti gli aspetti delle oscillazioni del neutrino che possono avvenire solo se i neutrini sono massivi, contrariamente a quanto veniva affermato dal Modello Standard. Una scoperta epocale dunque ma anche l’apertura a un intero campo di ricerca che vedrà protagonisti ancora tra gli altri i Laboratori del Gran Sasso, impegnati a risolvere il dilemma sulla natura di questa particella come ipotizzato da Majorana", conclude Ferroni. "Il Nobel 2015 va a ricercatori che hanno condotto scoperte fondamentali in un ambito di ricerca in cui è massimo, da sempre, l'impegno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso LNGS dell'INFN", commenta Stefano Ragazzi, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'INFN.

"Voglio ricordare il grande contributo di MACRO allo studio dei neutrini atmosferici, l'importanza delle misure di OPERA per dimostrare l'esistenza dell'oscillazione dei neutrini mu in neutrini tau, il ruolo centrale di GALLEX nella comprensione dei neutrini solari, e le successive misure di precisione condotte da BOREXINO sulle componenti del flusso dei neutrini solari. Le misure condotte da Arthur McDonald e dalla collaborazione SNO hanno portato una soluzione completa al trentennale enigma dei neutrini solari.

E' stato un successo scientifico fondato anche su tecniche di riduzione estrema di contaminanti radioattivi, ambito in cui oggi eccellono a livello mondiale SNOLAB e LNGS", conclude Ragazzi. "Penso sia un premio meritatissimo per due colleghi che hanno verificato oltre ogni dubbio la correttezza dell'ipotesi delle oscillazioni di neutrino, elaborata dal nostro Bruno Pontecorvo tra il 1957 e il 1967, e corroborata nei decenni scorsi dai risultati degli esperimenti MACRO, Gallex/GNO, Borexino, OPERA, condotti ai Laboratori INFN del Gran Sasso", sottolinea Francesco Vissani, fisico teorico, ricercatore del Gran Sasso Science Institute e dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. "Trovo particolarmente degni di lode il coraggio e la tenacia dei colleghi giapponesi, che hanno completato con Super-Kamiokande l'esperienza iniziata con il predecessore KamiokaNDE, risultati entrambi vincitori di Nobel, oggi Takaaki Kajita, nel 2002 Masatoshi Koshiba (assieme a Ray Davis e Riccardo Giacconi). Questa scoperta avviene in un campo di ricerca vivacissimo, che si avvantaggia di un fruttuoso legame tra investigazioni sperimentali e investigazioni teoriche, e che vede molti ricercatori italiani impegnati in prima linea. Le sue ripercussioni sulle ricerche in corso in tutto il mondo, sia di fisica delle particelle che di astrofisica, sono profonde e di effetto duraturo. Infatti, l'esistenza delle oscillazioni di neutrino dimostra he il modello di riferimento delle particelle elementari, detto modello standard, e giustamente riconosciuto dai premi Nobel del 1979, 1984 1999, 2013, non descrive tutti i fatti noti", conclude Vissani.

"Il premio assegnato oggi è un importante riconoscimento e un’ottima notizia per tutta la comunità dei ricercatori che nel mondo studia la fisica del neutrino, uno dei temi caldi della fisica contemporanea, che potrebbe riservarci in futuro altre sorprese", afferma Marco Pallavicini, presidente della commissione INFN di fisica astroparticellare e fisico sperimentale della collaborazione BOREXINO. "L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è, infatti, impegnato attivamente su questo fronte. Non è un caso che due esperimenti ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, BOREXINO e OPERA, abbiano confermato con tecniche diverse, rispettivamente nel 2007 e nel 2014, lo stesso risultato premiato oggi con il premio Nobel, e che i risultati sulle oscillazioni dei neutrini atmosferici annunciati da SuperKamiokande nel 1998 fossero accompagnati, alla stessa conferenza in Giappone nel 1998, da un analogo risultato da parte dell’esperimento MACRO ai Laboratori del Gran Sasso", conclude Pallavicini. "La scoperta delle oscillazioni del neutrino, nota ormai da molti anni, ha un'importanza eccezionale non solo nella scienza delle particelle, ma dell'intera fisica fondamentale, e in particolare nell'astrofisica", commenta Ettore Fiorini, fisico INFN, ideatore dell'esperimento Cuore ai Laboratori del Gran Sasso.

"I risultati ottenuti anche con reattori nucleari, hanno avuto come prima indicazione la carenza dei neutrini dal Sole, con un contributo determinante dall'esperimento GALLEX e più recentemente Borexino presso i Laboratori Nazionali dell'INFN del Gran Sasso. Arthur McDonald è il responsabile dell'esperimento SNO, svoltosi in Canada, che ha scoperto che i neutrini solari interagiscono anche tramite le correnti neutre, scoperte al CERN nell'esperimento Gargamelle. Con questo contributo si è confermata la teoria del Sole dovuta a John Bahcall, purtroppo recentemente scomparso. I due fisici premiati, che mi onorano con la loro amicizia, hanno frequenti contatti con il nostro Paese, tant’è che Arthur McDonald è stato tra l'altro membro del Comitato Scientifico dei Laboratori Nazionale del Gran Sasso", conclude Fiorini.

Con passo leggero di Francesco Vissani su Asimmetrie14 massa

Misteri sfuggenti di Carlo Giunti su Asimmetrie18 #nuovafisica

A dispetto del suo nome, la materia oscura potrebbe non essere poi così oscura. Potrebbe, infatti, essere associata alla radiazione elettromagnetica: questa è l’ipotesi di un team di scienziati delle sezioni INFN di Torino, Roma Tre e Trieste, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e della Chinese Academy of Science. In particolare, lo studio, pubblicato oggi su Physical Review Letters (PRL), descrive una correlazione fra l’emissione gamma extragalattica catturata dal telescopio spaziale Fermi, cui INFN e INAF collaborano, e la distribuzione di materia oscura cosmica ricostruita dal catalogo di galassie 2MASS.

Secondo gli autori dello studio, potrebbe trattarsi di un'impronta indiretta della presenza della sfuggente materia che permea un quarto dell’universo.

Questa associazione nella radiazione gamma potrebbe quindi individuare la prima possibile traccia non gravitazionale della materia oscura: finora, infatti, tutte le nostre ipotesi si sono basate su osservazioni relative ai suoi effetti gravitazionali.

Lo studio appena pubblicato su PRL mostra, infatti, che il segnale è compatibile con l’ipotesi che la materia oscura possa essere costituita dalle cosiddette Weakly Interacting Massive Particle (WIMP), per le quali lo studio identifica un intervallo di valori di massa compreso fra 10 e 300 GeV. “Le WIMP, come suggerisce il loro stesso nome, possiedono un'interazione, anche se debole, - spiega Nicolao Fornengo, della sezione INFN di Torino, tra gli autori dello studio -. Quindi, dovrebbero andare incontro a un possibile processo mutua annichilazione o di decadimento”. “Quello che abbiamo fatto nel nostro studio - sottolinea il fisico italiano - è cercare, al di fuori del gruppo di galassie di cui fa parte la nostra Via Lattea, il cosiddetto Gruppo Locale, un segnale gamma associabile a questi processi. Per fare questo, abbiamo correlato la mappa della radiazione gamma misurata dal satellite Fermi con la distribuzione di galassie del catalogo 2MASS, che rappresenta un tracciatore della distribuzione di materia oscura nell'Universo. E in questo modo abbiamo trovato un segnale e mostrato che è compatibile con le WIMP. Si tratta di una prima analisi di questo tipo di correlazioni - precisa Fornengo -, che mostra come questa tecnica sia molto promettente”.


L’esistenza della materia oscura è stata più volte dedotta dalla misura indiretta dei suoi effetti gravitazionali sulla materia ordinaria. Finora, però, la sua natura è rimasta ben nascosta, riuscendo a sfuggire a qualsiasi tentativo di osservazione. Gli studiosi sanno che esiste, ma non com’è fatta. La sua natura fondamentale resta, infatti, uno dei principali interrogativi della fisica moderna. Al CERN di Ginevra, ad esempio, gli scienziati stanno provando a imbrigliarla con il nuovo corso del superacceleratore LHC (Large Hadron Collider), il cosiddetto RUN2. Grazie all’energia record di 13 TeV, infatti, i fisici sperano di produrre quelle particelle che si presume compongano la materia oscura.

Allo stesso tempo, gli astrofisici scrutano il cosmo a caccia di tracce di materia oscura fossile che possa rendersi visibile, ad esempio, ai sofisticati occhi dei telescopi spaziali. Come il satellite Fermi, che la sta cercando tra le pieghe della radiazione gamma.
“Le strutture cosmologiche sono dominate dalla presenza di materia oscura, - spiega Nicolao Fornengo -. Le nostre conoscenze sul fatto che questa elusiva materia esiste sono tutte di natura gravitazionale. Se, però, emettesse anche radiazione, dovremmo avere una correlazione tra la radiazione gamma misurata da Fermi e la distribuzione della materia oscura nell’Universo. La correlazione che abbiamo individuato possiede le giuste caratteristiche che ci si attende se prodotta dalla materia oscura - chiarisce il fisico INFN -. Non possiamo, tuttavia, escludere al momento che sia dovuta a un’altra fonte, come ad esempio l'emissione gamma prodotta dai nuclei galattici attivi. Occorreranno nuovi studi per chiarirlo.

Nei prossimi mesi, ad esempio, - aggiunge Fornengo - Fermi rilascerà nuovi dati. Sono, inoltre, in preparazione nuovi cataloghi di galassie Tutto questo permettera' di affinare la tecnica che stiamo utlizzando. In prospettiva, con l'arrivo dei dati che misurano il cosiddetto effetto di lente gravitazionale debole (weak lensing gravitazionale), si potanno ottenere mappe dettagliate della distribuzione di materia oscura nell'Universo. Fra qualche anno saranno infatti disponibili i dati del Dark Energy Survey, e successivamente del satellite Euclid dell'ESA. Questi nuovi potenti strumenti d'indagine - conclude Fornengo - ci permetteranno di migliorare di molto le misure di correlazione che stiamo sviluppando e potenzialmente di fornire una risposta chiara all'origine del segnale che abbiamo studiato

Una nuova missione ha appena lasciato la Terra, alla ricerca dell'inafferrabile materia oscura. Si tratta di DAMPE (DArk Matter Particle Explorer), partito dalla base di lancio cinese Jiuquan Satellite Launch Center nel deserto di Gobi, alle 8:12 del mattino ora locale, quando in Italia era ancora l'1:12 della notte. Spedito in orbita dall’agenzia spaziale cinese a bordo del vettore Long March 2D, il satellite è frutto di un accordo di collaborazione internazionale tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) - con le sezioni di Perugia, Bari e Lecce -, la Chinese Academy of Sciences (CAS), le Università di Perugia, Bari e del Salento, e l’Università di Ginevra. DAMPE può essere considerato il figlio della linea di ricerca e tecnologia sviluppate congiuntamente da ASI ed INFN che ha dato luogo a PAMELA, AMS (01 e 02), e FERMI. Il satellite estenderà le misure già effettuate nello spazio da PAMELA, Fermi-LAT (Large Area Telescope) e AMS-02 (Alpha Magnetic Spectrometer), ancorata alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dal 2011. Orbiterà a una quota di circa 500 km, dalla quale cercherà la sfuggente materia oscura nel flusso di raggi cosmici che piovono incessantemente sul nostro Pianeta. "L’esperimento DAMPE è una missione per lo studio delle astroparticelle di alte energie, disegnata per rivelare elettroni e fotoni con una precisione e in un intervallo di energia maggiori di quanto possibile con gli strumenti attuali. Lo scopo - afferma Giovanni Ambrosi, della sezione INFN di Perugia, coordinatore nazionale dell’esperimento - è identificare possibili segnali della presenza di materia oscura studiando le caratteristiche delle particelle ordinarie misurate dal rivelatore. Le tecnologie utilizzate sono quelle più avanzate disponibili per la rivelazione di particelle elementari, spinte - sottolinea Ambrosi - a un livello di qualità e affidabilità estremo, per poter garantire una missione di lunga durata, almeno tre anni, nello spazio". "Con il lancio di DAMPE, l’INFN vede riconosciuta internazionalmente la propria capacità di costruire rivelatori spaziali di altissima qualità - sottolinea Marco Pallavicini, presidente della commissione nazionale INFN per la fisica delle astroparticelle -. DAMPE sonderà il mistero della materia oscura, cercando particelle più pesanti di quelle osservabili con gli strumenti oggi in quota, e seguendo una via complementare alle ricerche dirette realizzate ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso", aggiunge Pallavicini.

L'esperimento

Il satellite DAMPE è uno dei cinque progetti di missione spaziale del programma Strategic Pioneer Program on Space Science della CAS. Ha un peso complessivo di circa 1900 kg, di cui 1400 kg rappresentati dai quattro esperimenti scientifici. Una componente chiave del satellite è il tracciatore al silicio, interamente realizzato da ricercatori italiani con il coordinamento dell'INFN di Perugia. Per garantire l’affidabilità delle scelte costruttive e le prestazioni del rivelatore con i raggi cosmici, un modello di qualifica - del tutto analogo a quello impiegato in volo - è stato sottoposto prima del lancio a verifiche presso il CERN di Ginevra, nell’ambito di una campagna di test con fasci di elettroni, protoni e ioni, che si sono conclusi lo scorso giugno. Il rivelatore è stato poi completato ed è arrivato a Pechino, dove è stato assemblato con il resto dell’apparato, in vista del lancio di oggi.

“L’esperienza maturata in seno all’INFN nello sviluppo di rivelatori a microstrisce di silicio, in ambito spaziale, per il tracciamento di precisione delle particelle incidenti in DAMPE è stata determinante per vincere questa sfida - spiega Giovanni Ambrosi -. Una sfida che ha visto, in meno di due anni, la progettazione, costruzione, qualifica spaziale, e verifica con fasci di particelle, di un tracciatore composto da 12 piani di rivelatori di silicio”.

DAMPE permetterà di misurare con grande accuratezza la direzione di arrivo dei fotoni cosmici e, allo stesso tempo, di differenziare le specie nucleari che compongono i raggi cosmici e la loro traiettoria. In particolare, misurerà elettroni e fotoni nell’intervallo di energie tra i 5 GeV (5 miliardi di elettronvolt) e i 10 TeV (diecimila miliardi di elettronvolt). Sarà anche in grado di misurare il flusso di nuclei con range tra 100 GeV e 100 TeV, fornendo quindi nuovi dati e indicazioni per capire l'origine e la propagazione dei raggi cosmici di alta energia.

“Grazie alle peculiari caratteristiche dei rivelatori a bordo di DAMPE, sarà possibile dare un contributo fondametale alla comprensione dei meccanismi di produzione e accelerazione della radiazione cosmica di origine galattica” sottolinea Ivan De Mitri, dell’Universita’ del Salento, e della sezione INFN di Lecce.

“Per la prima volta – aggiunge Mario Nicola Mazziotta, della sezione INFN di Bari - viene messo in orbita uno strumento che migliorerà le potenzialità nella ricerca dei raggi gamma prodotti dall’annichilazione di particelle di materia oscura”.

“DAMPE continuerà la tradizione degli osservatori di raggi gamma e X nello spazio - afferma Fabio Gargano, della sezione INFN di Bari -. I dati raccolti permetteranno agli scienziati di tutto il mondo di studiare i fenomeni di quello che è noto come Universo violento, e che hanno origine sia nella nostra galassia che al di fuori di essa”.

"Con la sua eccellente capacità di rivelare i fotoni, la missione DAMPE ha buone chance di effettuare nuove scoperte nel campo dei raggi gamma di alta energia. Dopo la messa in orbita - spiega Ambrosi - è di primaria importanza essere pronti a verificare il comportamento dello strumento appena arriveranno a terra i primi dati. Trascorse alcune settimane di verifica, il rivelatore dovrà, infatti, funzionare al massimo delle sue prestazioni per poter permettere al team di scienziati lo studio dei fotoni e delle particelle di origine cosmica", conclude Ambrosi.

La materia oscura

Siamo immersi in una materia che non conosciamo. Le osservazioni dell’universo suggeriscono che, oltre a quella ordinaria, ci sia nel cosmo un altro tipo di materia che ancora ci sfugge: la materia oscura. La sua massa piega le traiettorie della luce, come insegna la Relatività Generale di Einstein, mutando ai nostri occhi la posizione delle stelle, e rivelandoci indirettamente la sua presenza. Questa elusiva materia è, infatti, uno degli ingredienti base dell'universo: una sorta di ragnatela cosmica che tiene assieme le galassie. La stessa Via Lattea, ad esempio, secondo i modelli teorici più accreditati, sarebbe avvolta da un alone di materia oscura simile a una fitta nebbia. I fisici sanno che la materia oscura esiste, che non assorbe, né emette luce e che, finora, sembra non interagire con il nostro mondo, pur essendo cinque volte più abbondante della materia ordinaria che compone tutto ciò che conosciamo. Ma non sanno ancora quale sia la sua natura. Per questo, tentano da anni di scovarne le tracce, ad esempio in laboratori sotterranei ospitati nelle viscere di una montagna, come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'INFN, o nel superacceleratore Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra, o ancora nello spazio, proprio come farà DAMPE. Tra i possibili candidati come costituenti della materia oscura ci sono le cosiddette particelle WIMP (Weakly Interacting Massive Particle).

Il ruolo dell’Italia

Il gruppo di scienziati italiani di DAMPE, con il coordinamento dell’INFN di Perugia, comprende ricercatori dell’INFN e delle Università di Perugia, Bari e del Salento, a Lecce. Il loro sforzo principale in questi ultimi due anni è stato il disegno, la realizzazione e la verifica del rivelatore di tracce al silicio. La tecnologia di questo tipo di rivelatore - sviluppata originariamente negli anni ‘80 per gli esperimenti di fisica delle particelle elementari negli acceleratori - è stata utilizzata per la prima volta nello spazio proprio dai fisici italiani con l’esperimento AMS-01, che ha volato per dieci giorni sullo Space Shuttle Discovery nel 1998. Sono poi seguiti altri esperimenti - come Pamela e FERMI su satelliti, e AMS-02 sulla ISS - tutti operanti da anni in orbita attorno alla Terra. Il gruppo italiano ha, inoltre, fornito l’esperienza e le attrezzature necessarie per effettuare verifiche di funzionamento dell’intero apparato di DAMPE con fasci di particelle, presso il CERN di Ginevra. Completato lo sforzo per la costruzione dell’apparato sperimentale, i ricercatori italiani saranno nei prossimi mesi in prima linea nelle attività di studio delle prestazioni del rivelatore, e nella preparazione degli strumenti di analisi dati per lo studio dei flussi dei raggi cosmici, sia per gli elettroni che per gli ioni.

Video lancio DAMPE http://video.weibo.com/show?fid=1034:939948d3bd79e3f7543ee42fff59dd95

Un video su DAMPE della Chinese Academy of Sciences http://dpnc.unige.ch/dampe/video/dampe_chinese_video.mp4

Il 9 maggio il Large Hadron Collider (LHC), il superacceleratore del CERN di Ginevra, e i suoi esperimenti hanno ripreso ufficialmente l'attività, ricominciando  a “fare fisica”. LHC era stato riacceso il 25 marzo scorso dopo la pausa invernale, è seguito poi un periodo di commissioning, in cui sia l’acceleratore sia i rivelatori sono stati testati e calibrati utilizzando fasci a bassa intensità e grazie a collisioni pilota protone-protone.

Ora, tutto il complesso di strumenti è pronto e i “macchinisti” di LHC stanno aumentando l’intensità dei fasci per produrre un maggior numero di collisioni, ricominciando così a raccogliere dati in abbondanza.
“Possiamo dire che il vascello è salpato verso il nuovo mondo, – commenta Fernando Ferroni, presidente dell’INFN, l'Istituto che coordina la partecipazione italiana al CERN e a LHC – ora speriamo che arrivi presto il momento in cui avvisteremo una nuova terra nella quale avventurarci con i nostri studi”.


Questo è il secondo anno per LHC all’energia di collisione di 13 TeV. Il bosone di Higgs è stato l'ultimo tassello del puzzle del Modello Standard: ora, le collaborazioni ATLAS e CMS studieranno questo bosone in profondità. Ma ci sono ancora molte domande alle quali il Modello Standard non riesce a dare una risposta come, ad esempio, perché la natura ha preferito la materia all’antimateria, e di che cosa è composta la materia oscura che costituisce un quarto del nostro universo. L’enorme quantità di dati che LHC produrrà nel corso del 2016 consentirà ai fisici di affrontare queste e molte altre domande, per indagare ancora più a fondo la nostra teoria e trovare eventuali indizi di Nuova Fisica, quella oltre il Modello Standard.
Il programma di ricerca prevede sei mesi di presa dati con collisioni protone-protone, cui seguiranno quattro settimane di collisioni tra ioni di piombo, come di consuetudine. I quattro più grandi apparati sperimentali di LHC, ALICE, ATLAS, CMS e LHCb, iniziano così a raccogliere e analizzare i dati del 2016. Assieme a loro lavoreranno anche i tre esperimenti più piccoli - TOTEM, LHCf e MoEDAL - che si concentreranno su particolari aspetti delle collisioni protone-protone.

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