Considerazioni sulla guerra in Yugoslavia
Giuseppe Nardulli Centro Interdipartimentale di Ricerche sulla Pace Università di Bari
La guerra in Yugoslavia può essere vista ed interpretata sotto vari punti di vista; per quanto ci è dato di comprendere a giudicare oggi, mentre i combattimenti sono ancora in corso, sono quattro gli aspetti che risultano, in un modo o nell'altro rilevanti:
- giuridici
- morali
- economici
- politici
Naturalmente per comprendere cosa succede è necessario tener presente tutti i piani. Occorre però chiarire di volta in volta di cosa si sta parlando per evitare una inutile confusione.
- Sotto il profilo giuridico i bombardamenti della Nato in Yugoslavia non hanno giustificazione alcuna. Ovviamente neanche la guerra civile strisciante che il regime di Belgrado ha attuato sinora contro gli Albanesi di Kosovo è giustificabile. Ma le norme internazionali non danno ad uno stato o alleanza di stati il diritto di intervenire negli affari interni di un altro stato, sia pure per evitare massacri. Può essere utile ricordare che, quando alla fine degli anni '70 il VietNam intervenne in Cambogia contro il regime dei Khmer Rossi, che pure si era macchiato di atrocità straordinarie, esso fu condannato dalla comunità internazionale, e tra gli altri dagli USA. Pochi anni dopo gli USA condannarono l'invasione sovietica dell'Afghanistan, nonostante essa fosse stata sollecitata da una delle fazioni rivali. Dati questi precedenti storici è difficile riconoscere agli USA rigore morale, visto che nella loro politica estera applicano costantemente due pesi e due misure. È vero che il diritto internazionale è in evoluzione, e gli aspetti umanitari sono stati più volte invocati nel recente passato (Somalia, Haiti, Bosnia), ma questa evoluzione è lontana dall'essere giunta ad un punto di approdo internazionalmente riconosciuto. Attualmente solo l'ONU è giuridicamente in grado di autorizzare l'uso della forza, ma non è questo il caso della guerra in Yugoslavia, come è ben noto. Va detto che anche sotto il profilo dello Statuto della Nato, l'attacco non si poteva giustificare. La Nato è (era?) un'alleanza puramente difensiva che impegna i 19 paesi membri a difendere il territorio di uno dei paesi membri, se minacciato. Non era questo il caso in Yugoslavia. È evidente la differenza con la guerra del Kuwait e la guerra di Korea, guerre in cui l'intervento degli USA e dei suoi alleati avvenne con l'autorizzazione delle Nazioni Unite. Naturalmente l'aspetto giuridico non va soppravalutato: si son sempre fatte guerre in spregio al diritto internazionale. Esaminiamo allora gli altri argomenti.
- Sotto l'aspetto umanitario la guerra è difficilmente giustificabile. Infatti è indubbio che le condizioni dei kosovari sono enormemente peggiorate dopo l'inizio della guerra. Quindi, se l'obiettivo era quello di soccorrere gli albanesi del kosovo, si è ottenuto l'obiettivo contrario. D'altro canto in questi anni si sono visti eccidi straordinari: Cambogia, Ruanda (questi sì genocidi: 2,000,000 e 500,000 morti rispettivamente) senza che gli USA movessero un dito. Quando si invocano ragioni morali per iniziare una guerra occorrerebbe essere in grado di dimostrare che le azioni presenti sono coerenti con i comportamenti passati, altrimenti i richiami morali appaiono, e sono, ipocriti. Dunque, neanche gli aspetti morali ed umanitari sono quelli dominanti in questa guerra. Tuttavia l'appello ai principi umanitari non deve lasciare indifferenti, soprattutto chi, come noi, ha aderito alla causa della pace e ha scelto di stare dalla parte delle vittime e non degli oppressori. È ovvio che occorre aiutare in ogni modo gli sforzi delle associazioni umanitarie. Il problema è però un altro, e cioè se sia giusto far pesare nelle scelte di politica estera gli aspetti umanitari oltre una certa misura. I buoni sentimenti o gli aspetti umanitari quando interferiscono con la conduzione della politica estera ostacolano una analisi razionale della situazione ed il calcolo razionale delle mosse dell'avversario, i soli comportamenti che possono impedire i disastri. Senza ovviamente rimpiangere il periodo della guerra fredda, possiamo oggi riconoscere che la guerra nucleare fu evitata (e l'Europa ha goduto di oltre 40 anni di pace) perché entrambi i contendenti si comportarono razionalmente e si aspettavano che l'avversario si comportasse secondo un calcolo politico). Importanti non erano tanto i missili nucleari, quanto il fatto che ci si atteneva a delle regole razionali, non emotive, al calcolo delle convenienze e della ragion di stato; ciò generava comportamenti prevedibili e risposte altrettanto razionali.
- Le ragioni economiche, almeno per quanto riguarda l'importanza del Kosovo, sono inesistenti: qui è una grande differenza con la guerra del Kuwait, che oltre ad essere più limpida dal punto di vista giuridico, era anche chiara nelle sue motivazioni economiche (il petrolio). Tuttavia le ragioni economiche sono importanti dal punto di vista della società americana nel suo complesso. Può essere utile ricordare che la spesa militare USA è enorme, circa 270 miliardi di dollari all'anno, 1/3 della spesa militare mondiale, il 3.3% del PIL americano, e che essa sostiene un apparato burocratico ed industriale immenso, in grado di condizionare in modo rilevante le scelte della politica estera americana. Non si tratta tanto di una influenza diretta del Pentagono, quanto del'influenza indiretta che la forza militare USA ha sulla politica estera nel senso della usa militarizzazione, cioè di previlegiare in generale la soluzione militare sulla soluzione diplomatica (e di questa militarizzazione può essere interprete, come in questo caso, piuttosto il Dipartimento di Stato che non il Pentagono). Quindi anche le ragioni economiche sono, in qualche forma, politiche e ci portano all'ultima serie di ragioni che intendo esaminare.
- Dunque, le ragioni politiche. Non c'è dubbio, a mio parere, che, a livello politico la responsabilità originaria di questa ennesima crisi balcanica è di Slobodan Milosevic. Non mi riferisco tanto alla crisi del Kosovo, nella quale ha giocato un ruolo negativo anche la nascita della resistenza armata dell'UCK e la conseguente crisi della politica non violenta di Ibrahim Rugova. Su questo penso che la NATO più saggiamente di quanto non abbia fatto sinora, dovrebbe cercare di ricostruire una credibilità delle forze moderate, per non rimanere ostaggio degli estremisti del'UCK. No, le responsabilità di Milosevic sono originarie nel senso che, alla fine degli anni 80 Milosevic, attaccato da destra da parte dei leader nazionalisti serbi, decise di fare suo il loro programma panserbo e di togliere al Kosovo l'autonomia che Tito gli aveva assicurato. In questo modo gli slavi del Sud, che grazie ad un progetto politico comune comunista/di autogestione ed internazionalista erano vissuti per 40 anni in pace, sono caduti preda della demagogia nazionalistica. Gli avvenimenti successivi li conosciamo tutti. La repressione in Kosovo favorì la trasformazione delle branche locali della Lega dei Comunisti jugoslavi in altrettanti partiti nazionalistici: nel 1991 Slovenia e Croazia attuarono la secessione, seguite da Bosnia e Macedonia ed in tutti questi paesi (tranne la Macedonia) le popolazioni serbe, divenute improvvisamente minoranze, caddero a loro volta preda di leader nazionalisti ed imbracciarono le armi. Sono seguiti anni di guerre civili, fino agli accordi di Dayton che hanno momentaneamente messo fine alla guerra di Bosnia, al costo però di un coinvolgimento di truppe NATO di cui non si vede la fine all'orizzonte. Quindi le responsabilità politiche di Milosevic sono chiare. Ma le cause politiche della guerra vanno ricercate anche altrove. Esse sono apparse molte volte nel dibattito, nella veste dell'argomento della credibilità della NATO. L'argomento è il seguente. Poiché nei mesi passati la NATO ha fatto la voce grossa con Milosevic, se ora non avesse fatto seguire i fatti alle parole, la sua credibilità si sarebbe volatilizzata. Questo argomento ha una sua consistenza, ma ha un punto debole. Perché la NATO ha fin dall'inizio puntato su una strategia di intimidazione? È ovvio che in una strategia di questo genere bisogna essere pronti a passare all'azione, ma allora la logica vuole che la risposta militare debba essere minacciata al più alto livello possibile. Non si comprende cioè perché si è rifiutato a priori, e si rifiuta finora, l'attacco di terra che a detta del Pentagono è l'unico in grado di far vincere la guerra alla NATO. Occorre pensare a miopia e navigazione a vista? Non credo. Penso che la questione della NATO sia la questione principale sul tappeto per l'Occidente in questa guerra. Ma non la questione della sua credibilità quanto quella della sua stessa esistenza e del suo futuro. Mi spiego. Dopo la fine della guerra fredda, l'Alleanza Atlantica, nata nel 49 per impegnare gli USA nella difesa militare dell'Europa Occidentale dall'URSS, ha perso la sua ragione di esistenza. Oggi che l'URSS non c'è più la NATO o si rinnova o perisce. In particolare, se la Nato non è in grado di dire nulla su un conflitto in Europa sarebbe legittima la richiesta, per ora inattuale, dello scioglimento della Nato. Poniamoci la domanda: perché gli USA non rinunciano alla Alleanza Atlantica? In fin dei conti, essendo essi la potenza militare di gran lunga dominante, potrebbero curare da soli i loro interessi. Ma la fine dell'Alleanza atlantica porrebbe due grossi problemi agli USA: L'Europa dovrebbe badare da sola alla propria difesa. Essa ha la potenzialità per farlo, dal punto di vista economico e forse anche dal punto di vista militare (soprattutto le forze francesi e britanniche sono significative). Di questo gli USA sono consapevoli e una Europa superpotenza militare non è prospettiva a loro gradita. C'è un'altra ragione per cui la NATO è importante per gli USA: la Nato rappresenta la migliore giustificazione per il mantenimento di una spesa militare enorme, come si è detto. Questa spesa non rappresenta uno spreco di risorse, almeno non dal punto di vista del funzionamento della società americana così come essa ci appare oggi (in realtà da almeno 50 anni). Si tratta di una spesa ingente che ha effetti macroeconomici importanti, nel senso di assorbire il surplus prodotto dall'economia americana (le analisi di Baran e Sweezy andrebbero aggiornate, ma non sono superate). Soprattutto si tratta di una spesa tecnologicamente orientata, che alimenta continuamente l'innovazione tecnologica nell'industria di punta americana (circa metà della spesa federale per R&D è spesa militare) e che è una delle cause della supremazia tecnologica statunitense nel mondo. E il mantenimento della NATO è la maggiore giustificazione per tenere in vita un apparato militare delle proporzioni che abbiamo descritto. Queste ragioni possono spiegare l'interesse degli USA per tenere in vita e dare nuovo vigore alla NATO. Ma qual è l'interesse dell'Europa? Io credo che esso sia duplice. In primo luogo c'è la questione della disunione politica dell'Europa, nonostante il varo della moneta unica. La questione della formazione di forze armate europee porrebbe il problema nuovamente della leadership europea, che oggi, è sostanzialmente in mano tedesca, ma con un peso francese non ininfluente. Inoltre autorizzerebbe un riarmo tedesco che pochi auspicano. Si capisce allora che lo smantellamento della NATO non sia oggi preso in considerazione da nessuna forza politica europea con rilevanti responsabilità di governo. In secondo luogo i potenziali dissensi USA/Europa non vanno sopravvalutati. È vero che ci sono dissensi anche aspri, soprattutto di natura commerciale e legati alla pretesa degli USA di dare valore extraterritoriale alle loro leggi punitive di alcuni paesi come la Libia o l'Iran. Ma sono molti anche i legami; in fin dei conti la mondializzazione dell'economia è un fatto reale ed è difficile distinguere chiaramente, quando si guardano agli interessi di aziende come la Ford, dove finiscono gli interessi americani e dove cominciano quelli europei. D'altro canto la sinistra dovrebbe evitare di scambiare i prori desideri con la realtà. Il processo di costruzione dell'unità monetaria europea non è stato politicamente neutro e ha rafforzato dappertutto nel nostro continente le destre ovvero, ha spostato i partiti socialisti europei su posizioni assai simili a quelle delle destre. Per queste ragioni, la guerra ancora in corso, e che ci auguriamo non si estenda ulteriormente, ci rimanda al tema finora sempre rinviato, ma sempre più attuale dell'inversione di tendenza nella costruzione dell'unità europea.
Bari, 9 aprile 1999